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Riforma fiscale in agricoltura


Con l’approvazione in esame definitivo del decreto legislativo di riforma delle imposte sul reddito, prosegue l’iter del Governo per l’attuazione della delega sulla riforma fiscale definita dalla Legge 111/2023. 

Le modifiche al TUIR hanno un impatto rilevante per le attività agricole, dando seguito, anche sul piano fiscale, alla grande riforma del settore operata a partire dal 2001.

L’evoluzione delle moderne tecniche di coltivazione in ambiente controllato, anche senza l’utilizzo del suolo, trova una sua chiara collocazione pure sul piano fiscale. Attualmente ogni attività di coltivazione che preveda la cura del ciclo biologico o una sua fase essenziale è considerata un’attività agricola dal Codice Civile. Ai fini fiscali, invece, si considera produttiva di reddito agrario la superficie adibita alla produzione che non eccede il doppio della superficie sulla quale insiste la produzione. Ai sensi dell’art. 56-bis, comma 1, TUIR, il reddito relativo alla parte eccedente concorre a formare il reddito di impresa nell'ammontare corrispondente al reddito agrario relativo alla superficie sulla quale la produzione insiste, in proporzione alla superficie eccedente. Ciò implica che, comunque la superficie sulla quale è esercitata l’attività di coltivazione disponga di un proprio reddito agrario.

Il decreto interviene modificando la definizione di reddito agrario, stabilendo che lo stesso “è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale di esercizio a la lavoro di organizzazione impiegati nell’esercizio delle attività agricole di cui all’articolo 2135 del Codice Civile”, pertanto non è più ancorato alla potenzialità del terreno. La riforma si è anche preoccupata di definire delle nuove classi di reddito per queste nuove modalità di coltivazione, stabilendo specifiche modalità transitorie di definizione del reddito fondiario fin quando non saranno definite le nuove classi di reddito.

Tali coltivazioni innovative possono essere effettuate all’interno di immobili censiti al catasto fabbricati e rientranti nelle categorie catastali C/1, C/2, C/3, C/6, C/7, D/1, D/7, D/8, D/9 e D/10. In questi casi i redditi dominicali ed agrari possono essere calcolati applicando alla superficie catastale della particella sulla quale insiste il fabbricato, la tariffa d’estimo più alta della provincia in cui è censita la particella incrementata del 400%.

Il decreto introduce inoltre il riconoscimento, sul piano fiscale, delle attività che le imprese agricole svolgono e che determinano benefici ambientali e contribuiscono alla lotta ai cambiamenti climatici. In pratica le attività di produzione di beni, anche immateriali, come ad esempio i cosiddetti crediti di carbonio, nei limiti dei corrispettivi delle cessioni di beni registrate ai fini IVA derivanti dall’esercizio delle attività agricole, saranno ricomprese nel reddito agrario. L’eventuale quota eccedente, sarà produttiva di redditi d’impresa, definiti forfettariamente nella misura del 25% dell’ammontare dei corrispettivi di vendita. 

Infine, il decreto approvato prende atto delle nuove tecnologie già impiegate per l’accesso ai contributi comunitari che consentono l’identificazione delle colture effettivamente coltivate sui terreni agricoli. Ciò consentirà di aggiornare annualmente i dati catastali riducendo gli adempimenti delle imprese.

Attualmente, sono esenti dalla denuncia delle variazioni colturali solamente i contribuenti che, per richiedere i contributi agricoli Comunitari (PAC), hanno presentato ad AGEA la dichiarazione sull’uso del terreno.

Per quanto riguarda l’applicazione delle nuove norme si dovrà attendere la pubblicazione del decreto, non è escluso che l’entrata in vigore possa avvenire entro la fine dell’anno con effetto, pertanto, già dal 2024.

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